domenica 26 settembre 2010

L'Aia, la capitale Out of Culture



Due giorni ininterrotti di musica, installazioni, proiezioni e performances sotto pioggia scrosciante alternata a momenti di calura quasi estiva. Si conclude così il TodaysArt, il festival che riunisce all'Aia artisti da tutto il mondo con in comune la voglia di sperimentare, fino a chiedersi quale sia il confine tra tecnologia strabiliante e arte pura. Un week end ricchissimo di eventi e un'organizzazione impeccabilmente olandese: puntuale, precisa e senza cambi all'ultimo secondo.
Il centro nevralgico delle manifestazioni è stato, come sempre, Spuiplein, dove quest'anno regnava dell'alto Robovox, l'installazione di Martin Bricelj Baraga, un robot di 8 metri a cui il pubblico poteva mandare sms e che venivano letti e musicati dal robot stesso, dando voce ai pensieri più indicibili della folla. Una lampada da discoteca appesa con una gu nel centro della piazza e gli effetti visivi proiettati sui palazzi circostanti hanno animato il centro giorno e notte.
La vera protagonista del festival è stata, senza ombra di dubbio la musica: elettronica, classica e sperimentale. Tra le numerose location scelte in tutta la città per i concerti, la più interessante e particolare è stata senza ombra di dubbio la gigantesca e modernissima hall del municipio. E' qui che si è scelto di far suonare il giovanissimo e promettente Olafur Arnalds con una performance da pelle d'oca accompagnata da tre violini, un violoncello e un dj. A seguire l'incredibile progetto audio-visuale di Structet: ovvero un'orchestra composta da 42 tra musicisti e dj disposti su sette piani e nascosti da un telo su cui vengono proiettati i lavori di artisti multimediali di fama mondiale. La hall è stata la location anche del lavoro di Vertical hearing dell'artista tedesca Anke Eckardt: quattro amplificatori appesi in scala creavano un impatto acustico su una vasca riempita di acqua nera causando ogni tre minuti la fuorisucita dell'acqua simile ad una mini-esplosione.
Il teatro, come ogni anno si è prestato in modo ottimale non solo per le installazioni nel Foyer ma anche per gli eventi più popolati, come ad esempio il progetto della simpaticissima Gob Squad, i cui quattro componenti muniti di telecamere hanno fatto un video sincronizzato all'interno della città esattamente un'ora prima della visione in teatro. Sempre in teatro il lavoro impressionante dei [The User], un concerto, se così si può definire, composto da macchine da scrivere e schermi risalenti agli anni '80. [The User] ha anche prodotto l'installazione nella Vrije Academie in cui diversi orologi sncronizzati tentano di ricreare il "Poème Symphonique" di Gyoergy Ligeti. Ligeti è anche il protagonista del lavoro che è stato presentato all'interno della Lutherse Kerk, una chiesa in cui i suoi 100 metronomi hanno preso il via ogni mezz'ora lasciando gli spettatori increduli dall'incredibile melodia scaturita e dall'immancabile eco di risposta.
E questi sono solo alcuni dei progetti che il TodaysArt ha presentato, l'appuntamento è per il prossimo anno l'ultimo week end di settembre. E' un'ottima occasione anche per godersi l'Aia prima del lungo inverno, tra mare, cultura e musica. Impossibile mancare.

sabato 14 agosto 2010

Ferragosto pantesco al sapore di fichi e mandorle



Sono atterrata da qualche giorno e l'arrivo ha coinciso con l'inizio del mio relax estivo per il 2010. La meta è Pantelleria, dove vive la mia famiglia. Vent'anni fa mio padre e mia madre hanno scelto l'isola del vento, questo uno dei suoi soprannomi, come terra di vacanze. E hanno comprato casa, una serie di Dammusi nella località di Rekale, a circa 10 chilometri dal centro isola. Tre settimane fa hanno lasciato Roma, dove risiedevano da quegli stessi vent'anni o forse più e sono partiti alla volta di Pantelleria. Per sempre. Una scelta drastica, certamente, ma motivata, affascinante. Una scelta insomma, e come tutte le scelte, meravigliosa. Avvincente.
Spesso son venuta qui a far vacanza. A Pasqua, Natale. Soprattutto in estate. Agosto, settembre. Non credo potrei mai venirci a vivere, ma quando son qui riesco proprio a rilassarmi e ad abbandonare tutta una serie di abitudini che ho a Bologna o comunque in città. E che hanno soprattutto a che fare con la frenesia. Questa volta, poi, è importante. Perché quando gtornerò sotto le due torri mi aspetterà un bel trasloco.
Dopo qualche giorno di relax assoluto e al contempo partecipazione alla nightlife pantesca - che per me consiste in incontri, cene, mostre e presentazione di libri..sì anche un gelato con tanto di passerella in paese a base di fanciulle stile Destiny's Child che incedono davanti alla striscia di bar con abiti svolazzanti, capelli fluttuanti e i mitici sandali alla schiava) oggi mi son decisa a prendere il sole. Primo giorno. Ma soprattutto ho messo mano alla cucina e insieme a mia mamma ho realizzato la prima ricetta pantesca. Praticamente un classico: la marmellata di fichi e mandorle. Lei la fa ogni anno e quest'anno mi sono occupata io di raccogliere i frutti dall'albero che abbiamo nel giardino rivolto al mare. Qualche sottile fettina di scorza di lime e un goccio di brandy per la conservazione e la marmellata era fatta!
E' facile facile e per la vostra colazione di ferragosto potrebbe essere ideale. Ma cosa farete domani? Io andrò al mare (scontato vabbè) in una delle spiagge rocciose, forse Nikà perché è vicina a casa e poi, se ce la facciamo pic nic ferragostano sul monte Gibele.
Questa isola è grandissima, 90 chilometri di perimetro. Ci saranno un po' di cose che vi vorrò raccontare!
A presto.

Marmellata di fichi, mandorle e scorzette di lime alla maniera di Grazia (mamma)

1,8 kg fichi bianchi e neri
52 mandorle con pelle
scorza di mezzo lime

Lavo velocemente i fichi e li asciugo, poi tolgo la buccia. Anche se qualche buccia non riuscirete a toglierla lasciatela pure nella cottura. Preparo la pentola di coccio sul fuoco, accendo e adagio i fichi che farò cuocere per un'ora mescolando ogni tanto. Dopo 40 minuti aggiungo la scorza del lime tagliata a striscioline e mescolo. Quando la polpa scivola lentamente sul cucchiaio la marmellata è pronta. Spengo e aggiungo le mandorle tritate (alcune le lascio intere) che avrò spellato adagiandole nell'acqua calda così che la buccetta viene via in un batter d'occhio.
A questo punto avete i barattolini pronti (ne vengono circa 4 piccoli), mettete la marmellata, in cima un goccio di brandy. Chiudete e capovolgete una notte per sterilizzare.

giovedì 29 aprile 2010

Tortino di patate con le olive


Questa ricetta è stato un bel pretesto per provare un cerchietto di metallo. Una di quelle formine che servono per dare il tocco di professionalità a un piatto. Proprio come fanno al ristorante quando ti arrivano in tavola gli spaghetti a forma di cubetto, come fossero una torretta d'avvistamento con il pomodoro a far da tettuccio. A quel punto per me è sempre una meraviglia, anche se so che per molti è una trovata un po' troppo affettata. Ma insomma, mi piace. E fare a casa cose così è molto divertente e quando ci sono degli ospiti si fa un figurone.
La ricettina, molto semplice, senza troppe pretese ma gustosa, mi ha anche permesso di usare un po' della mia rediviva salvia. Lo scorso anno, d'estate, non ce l'aveva fatta, poi quest'inverno è resuscitata...magie della natura.

Tortino di patate con olive
x 4 persone

400 grammi di patate
150 grammi di olive
1 cucchiaio di passata di pomodoro e uno di ortolina.
un cucchiaio di capperi

Faccio lessare le patate in acqua con un po' di sale. Quando sono pronte le tolgo dall'acqua, le sbuccio e le riduco in purea.
Prendo le olive e i capperi e li frullo fino ad ottenere una crema. Poi incorporo la passata e ortolina. Mescolo bene e a questo punto sono pronta per dar vita al tortino.
Prendo l'anello di piccolo formato e lo poso sul piatto destinato all'ospite. Col cucchiaio riempio l'anello per meno della metà, poi unisco un po' di olive e capperi fino a tre quanti e infine chiudo con il resto delle patate. Sulla cima inserisco una foglia di salvia che, ve ne accorgerete se vi piace, non è solo per decorazione, si mangia! Per ogni piatto che servirete, a seconda di quanti ospiti avete, farete lo stesso procedimento!

E buon primo maggio!


martedì 13 aprile 2010

GLI ANGOLI DI PIAZZA VERDI


La democrazia in Piazza Verdi

Forse è proprio a causa del tradizionale e rumoroso aperitivo consumato in piedi o seduti nel mezzo di piazza Verdi che gli stranieri definiscono “Bologna” l'usanza di sedersi in terra in luoghi pubblici. La famigerata e dibattuta piazza, dobbiamo ammetterlo, a suo modo ha fatto storia e anche un po' trend. Situata nel cuore di Bologna accoglie e indirizza i poveri e sperduti studenti fuori sede, che grazie a Lei iniziano ad integrarsi scoprendo pian piano la fauna locale.
In tutte le città ciò che normalmente non si vorrebbe mai vedere nel centro storico, si può trovare nel cuore di Bologna: Piazza Verdi ospita insieme ai rumorosi studenti anche alcolizzati o drogati, che non aspetteranno un solo momento per importunarti, strani personaggi mascherati, comunità (chiaramente corredate di cani) che vivono là sotto i portici e anche vari livelli di borgesia locale che partecipa agli spettacoli del teatro comunale, che “disgraziatamente” si trova proprio di fronte al luogo in questione.
Osservando il panorama da un punto qualsiasi della piazza si possono ricostruire mille percorsi che certamente aiutano a capire la vera essenza della città. Gli sperduti turisti con il naso per aria che visitano la città tra le mura, le piazze e le torri quasi inciampano in un tranquillo barbone che si riposa sdraiato in terra con la sua preziosa bottiglia, altri, più preparati, si mettono in un angolo e con una guida turistica in mano cercano di trovare un nesso tra la foto del loro manuale e quello che vedono di fronte ai loro occhi. Gli studenti restano certamente i protagonisti della scena: in piedi, seduti in terra o sugli scalini rigorosamente con una bottiglia in mano, stili e discorsi diversi fanno da background e un po' da colonna sonora della piazza. Il brusio e la confusione che si mescolano alla musica classica, proveniente dal teatro creano un'atmosfera irripetbile in qualsiasi altro contesto. Chi passa e chi si ferma, chi resta qualche minuto, chi resta per intere giornate o settimane. Impossibile immaginarsi la piazza vuota e silenziosa: nemmeno il mattino dato che intersecando direttamente via Zamboni, in cui si trovano le principali università il mattino pullula di studenti e studiosi indaffarati.
Si può quindi definire un vero e proprio nodo della città, che lega vari strati sociali, varie direnzioni e intenzioni. Nonostante i numerosi problemi che porta con sé, a mio parere, è bello vedere come un luogo pubblico possa ancora creare uno spazio di apparente democrazia.



Come volevasi dimostrare: genesi di un esperimento in Piazza Verdi

Qual è la prospettiva più adatta per osservare una piazza? Diciamo subito che, se non si ha la fortuna di potersi sporgere da un balcone, la soluzione migliore resta quella di sedersi al tavolino di un bar. Con una tazzina in mano, o un bicchiere se si preferisce, ci si guarderà intorno alla ricerca di qualcosa. D’accordo, ma cosa? Palazzi, statue e monumenti prima di tutto; e poi le insegne, i lampioni, la pavimentazione... Cos’altro ancora?
Siamo a Bologna: la piazza in questione è Piazza Verdi, zona universitaria per intenderci. Una piccola piazza in realtà, dedicata al celebre compositore dell’Aida, sulla quale non a caso si affaccia il Teatro Comunale con la sua ricca stagione lirica. Di fronte le Ex Scuderie, uno dei locali di servizio annessi al Palazzo dei Bentivoglio, signori della città. Poco più in là un tratto dell’antica cerchia muraria dei Torresotti, la seconda in ordine di tempo delle tre che circondarono Bologna. Queste, a occhio e croce, le coordinate storico-architettoniche: un veloce assaggio che, da solo, non rende giustizia al piccolo grande mondo racchiuso tra questi quattro cantoni. Cosa manca, dunque, alla nostra istantanea di Piazza Verdi? E’ presto detto: la sua gente.
Per forza di cose, trovandoci in piena zona universitaria, il popolo di Piazza Verdi è principalmente studentesco. E va detto che la gran parte della vita universitaria degli studenti che transitano nel capoluogo emiliano si svolge nelle immediate vicinanze del suo perimetro. Una frequentazione che, se alla luce del giorno è - per così dire - accademica, col favore delle tenebre si trasforma in un andirivieni ispirato da stimoli sicuramente meno edificanti, ma che non per questo perde il suo carattere di assiduità. In fondo anche l’autore dei Canti Orfici, il poeta Dino Campana, integrò il suo percorso di studi nella città universitaria dei primi anni del secolo scorso con ampie digressioni in una dissoluta vita notturna, immortalata nella forza dei suoi versi visionari.
E se, per uno scherzo del destino, il nostro esperimento avesse luogo in occasione di una pausa accademica, quando, per spiegarci, nella piazza oggetto della nostra indagine non ci fosse nemmeno l’ombra di uno studente? Come sconfiggere lo spauracchio di un amaro fallimento? Perché, parliamoci chiaro, non c’è prospettiva più desolante di una piazza vuota. Sì, per carità, qualche turista straniero non manca mai, ma non può essere sufficiente a rappresentare lo spirito che anima Piazza Verdi.
Niente paura: ci sono sempre i Punkabbestia. Strana categoria davvero, quella dei Punkabbestia: “brutti, sporchi e cattivi”, per rifarci all’omonima pellicola di Monicelli, ma anche liberi, scanzonati e anticonformisti. Chi più di loro è degno della nostra attenzione? Chi meglio del popolo dei Punkabbestia ha titolo di comparire nelle cronache di una piazza vissuta quotidianamente come soggiorno, camera da letto e, all’occorrenza, anche gabinetto? Bene, ora che abbiamo individuato il soggetto per la nostra ricerca può avere inizio “L’osservazione”... Oppure è il caso aspettare che tornino gli studenti?



Piazza Verdi e gli universi paralleli

Cosa unisce studenti, clochard, impiegati, spacciatori, operatori ecologici, ladri di biciclette, musicisti, tossicodipendenti, artisti di strada, punkabbestia, e forze dell'ordine? La risposta in questo caso può essere una sola, Piazza Verdi. Frammenti di un puzzle che presi singolarmente sembrano avere poco in comune, ma che accostati danno vita a un disegno che nella sua complessità risulta quasi incredibile.
Se tutte le strade portano a Roma, sicuramente prima o poi si incontreranno in piazza Verdi, a Bologna.
Simbolo della bolognesità, emblema di infinite subculture, spaccato di universi paralleli che sottraendosi alle regole della fisica quantistica coesistono in questo angolo della città, annullando i metri di riferimento spaziotemporali, creando un multiverso sotto gli occhi di tutti i passanti, protagonisti inconsapevoli di un qualcosa che sfugge alle tutte le leggi, scritte e non; questo è, piazza Verdi.
Un Punkabbestia succube dei vapori dell'anice stellato è sdraiato a terra nell'angolo nord-ovest della piazza, subito dopo la fine del portico di San Giacomo Maggiore, accanto a lui è seduto un amico, sembra coccolarlo, come una mamma farebbe con il proprio pargolo afflitto da qualche male, tra loro la bottiglia di sambuca sta dritta per terra, e tra i soggetti di questo quadro la più stabile è certamente lei. Cosa è la stabilità d'altronde, e soprattutto cosa è la stabilità in piazza verdi…domande senza risposta, o per cui ogni risposta è buona? Forse la stabilità di questo mondo è il sottilissimo equilibrio che sottende tutti gli esseri che lo popolano, i più diversi in momenti e situazioni diversi tra loro. Mentre tre ragazze straniere, forse studentesse in erasmus passeggiano per la piazza verso il portico dell’ex scuderia bentivoglio, un Monaco Guerriero a piedi scalzi predica ebbro di fervore ed impeto apostolico, inclinandosi sempre di più verso il suo interlocutore che non regge allo sguardo, o all'alito, e tenta di allontanare il suo volto da quello del predicatore, come a voler sfuggire il peso dei propri peccati, forse pensa che la salvezza della sua anima non dipenda dalle parole dell'apostolo…in qualche universo potrebbe avere ragione,in altri certamente no…in piazza Verdi ovviamente entrambe le affermazioni sono vere.
Negli anni la piazza è mutata, col succedersi di giunte comunali che hanno tentato varie strade: dai divieti di bere e vendere bevande oltre un dato orario, allo stanziamento di forze dell'ordine per vigliare, all'ordinanza antibivacco che vietava di sedersi per terra. I residenti sono arrivati a proteste sempre più accese per il crescente degrado che avvolge la zona. Se avessimo una ripresa fatta da una telecamera posta in un angolo, facendola scorrere velocemente potremmo osservare la piazza riempirsi e svuotarsi di persone, come il mare intorno a Mont St Michel, vedendola mutare da una piena di persone nell'ora dell'aperitivo o nelle serate del week-end, al deserto calmo e piatto della domenica mattina, la quiete dopo la tempesta, grazie al passaggio degli operatori ecologici che raccattano i frammenti derivanti dall'esplosione causata dalla collisione di tutti gli elementi che gravitano nell'ordine caotico che vige tra selciato e cubetti di porfido. Il porfido ci riporta al periodo che va dalla fine degli anni '60 a quella degli anni '70, quando anche Bologna è stata palcoscenico della nascita di una nuova identità, e Piazza Verdi è divenuto uno dei luoghi simbolo della “bolognesità” e del rapporto tra città e Università. Da qui si è arrivati però negli anni ad una rappresentazione che vede questa piazza come luogo simbolo del degrado cittadino. Un' ipotesi a riguardo potrebbe essere che sull’impeto dell’onda, di cui ora rimane solo la schiuma, che ha assurto il capoluogo emiliano a paradigma di libertà, novità, sperimentazione ed ha valso a Bologna nell’immaginario collettivo anche il ruolo di “Amsterdam del sud” o di “Bologna la rossa”, si sia creato un flusso di persone in cerca di un'emancipazione, di uno spazio, di un qualcosa che probabilmente è esistito ma solo nella cristallizzazione di pochi attimi, la cresta di un'onda che ha inevitabilmente finito per infrangersi sui sogni di molti; una corsa all'oro quando quando ormai le miniere erano esaurite. Il miraggio di una indipendenza forse fittizia, visto che oggi torva sbocco in quello che a detta di molti si può collocare soltanto sotto la voce degrado, ma è pur vero che la parte più importante di una ricerca è proprio la ricerca stessa piuttosto che l’obbiettivo che ci si prefigge di raggiungere.
Ad ognuno il suo punto di vista, certo è che piazza Verdi ne ha viste e ne vedrà ancora abbastanza per arrivare a comporre l'arcobaleno.



Uno sguardo amarcod

“Non si studia solo sui libri: frequentate i bar, i portici, le piazze e parlate tra voi..”, così esordiva Umberto Eco nelle sue prime lezioni di semiologia all'Università di Bologna difronte a una platea di studenti stupiti. Quello che voleva dire è che "si imparano sicuramente molte cose dai professori e dai libri, ma altrettanto si apprende dai compagni", fra i quali, ricorda il professore, non dirado avvenivano quelle contaminazioni che portavano gli studenti a citarsi l'un l'altro nelle rispettive tesi, magari grazie ai pomeriggi passati nei bar di Piazza Verdi a scambiarsi esperienze. Umberto Eco ne fa una ragione di eccellenza per la città di Bologna il fatto di essere delle dimensioni di un campus, dove finita la lezione gli studenti non si disperdono, ma continuano a incontrarsi sotto i portici, nei bar e perchè no? seduti nelle Piazze.
Ed è così che mi piace ricordare i miei anni di Università, quando il Palazzo Paleotti al 25 di via Zamboni, non era ancora la sede dell'Urp e delle varie aule studio dove puoi accedere soltanto mostrando il tesserino universitario; quando da Largo Trombetti a Piazza Verdi Scuderie comprese, era interamente occupato dagli studenti e al piano superiore c'era il bar dello studente dalle cui finestre potevi godere di tutto il panorama di Piazza Verdi costantemente in festa. Per noi quel Palazzo era semplicemente il "25" dove ogni giorno ci davamo appuntamento. I famosi panca-bestie allora erano una realtà meno invadente di oggi e occupavano il portico del Teatro Comunale e via del Guasto. Da allora molte cose sono cambiare e gli spazi liberi sono scomparsi, compreso il caratteristico giardino del Guasto, oggi chiuso forse perchè una roccaforte difficile da controllare. Diverse amministrazioni comunali si sono succedute e si sono poste il problema di sanare quella che ai loro occhi era una situazione di degrado. Piazza Verdi è stata presidiata da un sempre più invadente Posto di Polizia con spesso macchine e cammionette parcheggiate difronte, sono stati introdotti limiti di orario per la somministrazione di alcolici e l'assurdo divieto di bivacco per impedire alla gente di sedersi a terra, che ha scatenato numerose risse fra studenti e anarchici da una parte e celerini dall'altra. La situazione ora non mi sembra migliorata visto che i panca-bestia hanno invaso la Piazza e tutta via Petroni rendendola impraticabile e piena di sporcizia. L'unica nota positiva è stata l'iniziativa del Comune di assumere tra i "frick" degli addetti alle pulizie, che si aggiravano con le loro casacche di ordinanza dando a tutti un filo di speranza e fiducia nell'integrazione. Peccato che purtroppo non ha avuto un seguito.

F.I.S.Co. 10: l'arte è come un cane che scappa

Deriva da un’espressione dialettale - indossare un vestito scolorito = indossare un vestito color cane che scappa – il titolo della decima edizione di F.I.S.Co. Festival Internazionale sullo Spettacolo Contemporaneo (Bologna 16>24 aprile 2010). Una ricerca artistica illogica, volitiva e, perché no, insolente soggiace alla scelta di tale titolo.
Il festival intende indagare le esperienze del provvisorio in cui, come nel fenomeno dell’eliotropismo, lo spettatore/pianta non guarda la luce, che sta per l’artista, ma si dispone verso di essa. Negli intenti degli organizzatori, dunque, secondo Silvia Fanti per Xing, l’imperativo di questa edizione è “energia”, intesa scambio di forze, relazione vitale tra soggetto e pubblico.
Performance, happening e film si avvicenderanno negli spazi individuati per quest’edizione del festival caratterizzata da uno spiccato spirito nomade. Spazi pubblici e privati, marcati anch’essi da quella precarietà intrinseca alla natura della manifestazione, ospiteranno gli eventi in programma. Spazi precari, dicevamo, perché periferici e nati da pochi mesi, come DOM la cupola del pilastro o perché non ancora ufficialmente operativi, come lo Spazio Carbonesi oppure perché votati alla mobilità della visione del mondo come Sì, l’Atelier di Teatrino Clandestino.

F.I.S.Co. 10: Mette Ingvartsen (DK/D), Open (I), Antonija Livingstone/Jennifer Lacey (Can/F/USA), Krõõt Juurak (Est/A) Fahim Amir (AFG/A), Mårten Spångberg (S), Bojana Mladenović (Srb/NL), mk (I), La Ribot (CH/E), Kinkaleri (I), Brainstorming (I).

Luoghi: DOM la cupola del pilastro - Via Panzini, 1 Sferisterio - Piazzale della Montagnola/Piazza Camillo Baldi, 1 Teatro dell'Accademia di Belle Arti - Via Belle Arti, 54 spazio Carbonesi - Via De' Carbonesi, 11 Raum - Via Ca' Selvatica, 4/d Sì - Via San Vitale, 67

PROGRAMMA

lunedì 12 aprile 2010

Mettersi in gioco per l'Express Festival


Si è conclusa ieri la quarta edizione dell' Express Festival, rassegna di successo unica nel suo genere, dedicata alla musica indipendente. Quest'anno ospiti d'eccelenza quali Wild Beasts, These New Puritans e Thee Silver Mt. Zion, riconosciuti a livello internazionale, si sono esibiti sul palco del Locomotiv Club di Bologna con grande successo di pubblico.
Per gli artisti della scena nazionale la parola d'ordine è stata “mettersi in gioco”. Lo dimostra il reading teatrale del suo nuovo libro “Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero” da parte di Vasco Brondi aka Le Luci della Centrale Elettrica accompagnato da tre archi d'eccellenza, come anche la sonorizzazione della pellicola “Il crollo della casa degli Usher”, film del 1928 del regista francese J. Epstein realizzata dai Massimo Volume. Non mancherà una serata dedicata alle nuove tendenze musicali elettroniche/hip-hop, in cui tra i numerosi gruppi e Djs verrà ricordata la storica vittoria mondiale degli Scratchbusters all' Ida World Championship 2009. “Forma e contenuti dell’Express Festival riassumo la base su cui si è strutturata la programmazione del Locomotiv Club negli ultimi due anni e mezzo, diventando dunque una sorta di manifesto d’intenti teso ad approfondire l’attitudine alla ricerca, la trasversalità nelle proposte e l’attenzione per le avanguardie.” In questo modo amano definire il festival gli organizzatori e probabilmente tutti gli appassionati che anno dopo anno supportano e seguono questa rassegna, una delle poche occasioni per sbirciare all'interno della cosiddetta “scena indipendente”.

martedì 6 aprile 2010

Cremona sulla Via delle Spezie


Chi di noi si è mai domandato cosa accomuna le mummie egizie, le Isole Molucche e la Coca-Cola? Non tutti infatti sapranno che spezie come mirra e cassia (la varietà cinese della cannella) erano componenti indispensabili per la conservazione dei corpi nel viaggio verso l’aldilà, mentre pare ormai assodato che nella “segretissima” formula della bibita per eccellenza non possano mancare cannella, coriandolo e noce moscata. Proprio quest’ultimo ingrediente, di cui non di rado si apprezza il contributo sulle nostre tavole, è il prodotto di una pianta sempreverde che cresce rigogliosa in un migliaio di piccole isole indonesiane, le Molucche appunto, note nel resto del mondo come “Isole delle Spezie”. Per tutti coloro che sono sempre alla ricerca dei profumi di terre lontane, per i cultori della cucina etnica, ma anche per tutti i curiosi inaugura in anteprima nazionale l'evento Pausa speziata. In sintonia con le spezie e le loro virtù in programma dal 16 al 18 Aprile al Palazzo Trecchi di Cremona.
I partecipanti saranno invitati a seguire un percorso multisensoriali, in cui il tema delle spezie, protagoniste semi-sconosciute, viene affrontato da diversi punti di vista rendendo l'evento qualcosa a metà tra una mostra, una lezione di cucina e racconti di viaggi.
Sapori e odori saranno i protagonisti indiscussi della manifestazione. Vittorio Castellani (il Gastronomade), giornalista e food writer si dedicherà alla presentazione di due cosìdette officine gastronomiche, ovvero showcooking con degustazioni guidate, entrambe ispirate alla cucina indiana, regina delle spezie. Lo Chef condividerà un po' della sua esperienza etno-culinaria in altri due interventi: uno dedicato al caffè: Coffee Roots e un'altro presso l'istituto Einaudi dal titolo Odissea nelle spezie. Sarà possibile inoltre informarsi sulle proprietà terapeutiche e preventive delle spezie attraverso le spiegazioni dettagliate di medici e specialisti.Per la vista sarà esposta una selezione di fotografie, scattate in India da Sara D'Ambra durante un viaggio che si può definire una ricerca della vera anima di questo paese, col suo fascino, i suoi colori, e le sue contraddizioni. Il duo Agama si esibirà in un'improvvisazione di teatro-danza classico del Tamil Nadu caratterizzato da canto e racconti mitologici per il piacere della vista e dell'udito. Per esaltare il “sesto senso” le spezie verrano altresì utilizzate come mezzi per esaltare le proprie capacità percettive nei laboratori di arte-terapia per bambini e adulti, curati da Stefania Sarti.
Numerose sono le collaborazioni con vari negozi ed esercizi in città: ci sarà chi proverà ad aromatizzare e “speziare” la vostra colazione e la conferenza stampa, che vi aspetta nel proprio negozio per approfondire la vostra conoscenza di sali e pepi e chi preparerà un'aperitivo speziato salato e poi thé, gelato e molto altro ancora. Certamente un'occasione irripetibile per fare il giro del mondo senza spostarsi troppo da casa.

"Io considero la cucina come metafora dell’incontro", afferma in un'intervista Vittorio Castellani, giornalista e "gastronomade", il cui nome d'arte, Chef Kumalè, è una rivisitazione in chiave esotica di un saluto piemontese che si fa appunto quando di solito ci si incontra, "perché il problema non è mantenere le distanze, le differenze, ma amalgamarle e saperle integrare, come in un piatto, dove gli ingredienti più strani se usati in modo armonico e utilizzati con intelligenza, possono generare piacere e innovazione. Il segreto della cucina è questo", ci confida, "e i fenomeni legati allo scambio saranno sempre in continua evoluzione, come anche quelli legati all’emigrazione di uomini, pietanze e merci, cioè, tutte le volte che noi entriamo in contatto con un’altra abitudine e incontriamo qualcosa che ci piace l’assimiliamo. questo è un fenomeno normale, nel momento in cui noi assimiliamo rimescoliamo il nostro patrimonio originario. La cucina è una palestra di vita, io spero che col tempo saremo in grado di farlo non solo con il cibo, riuscendo ad armonizzare e valorizzare gli apporti delle altre culture; mentre, devo purtroppo constatare che si sottolineano soprattutto le differenze e le difficoltà. Sicuramente l’incontro è fatto anche di esperienze dolorose, dure, pesanti, e non è tutto semplice, tutto facile, però credo che, come diceva Nitzsche "se vuoi vedere brillare una stella devi sopportare un po’ di dolore"..."Chef Kumalè, insaziabile degustatore e viaggiatore, esperto di cucine etniche, collabora con molti Enti e Istituzioni, pubbliche e private, ed è direttore artistico di importanti manifestazioni etno-gastronomiche in Italia e all'estero. Ha pubblicato numerosi libri, tra cui "Le cucine del mondo", "Pappamondo:guida ai prodotti esotici" , "Cucine africane", "Ratatuia: un mare di uomini, migrazioni e pietanze", inoltre cura, su Venerdì di Repubblica, insieme a Gianfranco Vissani, la rubrica ’Week End a Tavola il piatto etnico’, e per l’inserto "Torino Sette" edito da La Stampa, le rubriche "Mappamondo" e "Pappamondo". Osteggiatore della schiavitù della grammatura in cucina e sostenitore dell'arte culinaria come esperienza liberatoria in cui il cuoco-artista esprime la propria interiorità, a chi gli chiede un esempio di integrazione riuscita a tavola, Kumalè, ricorda un'intervista rivolta qualche tempo fa ad un bambino delle scuole elementari, al quale fu chiesto se gradisse mangiare il cous cous alla mensa del suo istituto. “E' ancora vivo in me lo stupore che mi colse, nel leggere la sua risposta: "sì, ma preferisco quello che fa mia mamma insieme agli agnolotti". Non è questa una chiara prova di quanto possa il cibo accorciare le distanze tra differenti culture? Sedere tutti alla stessa tavola, composta di piatti provenienti dalle diverse e rispettive località d'origine, è il primo passo per conoscersi meglio a vicenda".

Spedizione nelle spezie
Un intero evento dedicato alle spezie, fantascienza, penseranno alcuni, ma più che lo spazio protagoniste saranno proprio le spezie. Atmosfera magica quella di questo universo. I profumi e i sapori di queste essenze trasformano i piatti più semplici in un mezzo capace di condurre la nostra fantasia in luoghi esotici e lontani, sondando nuove inebrianti galassie.
L'evento di Palazzo Trecchi è dedicato a questo affascinante mondo ed è il primo nel suo genere organizzato nella nostra penisola. La storia di questi sapori si perde nella notte dei tempi; le popolazioni primitive ne conoscevano le proprietà antimicrobiche, avendo intuito soprattutto la capacità di rallentare i processi di decomposizione e la conseguente migliore conservazione dei cibi. Merci preziosissime, pagate a peso d’oro da re, faraoni e imperatori mantengono fino ad oggi nell’immaginario collettivo carattere elitario e regale.Varie saranno le iniziative, percorsi diversi tra loro condurranno a scoperte multisensoriali e visive. A mostre fotografiche si affiancheranno viaggi introspettivi, come l’arteterapia, e conoscitivi, vari gli incontri che introdurranno i presenti sui suggestivi sentieri delle spezie, lungo un tracciato che spazierà dalle loro proprietà all’uso culinario, in sapori ed aromi di terre lontane. Non mancheranno dunque sezioni dedicate agli effetti curativi di questi frutti della natura. Tra aperitivi a tema, conferenze e degustazioni itineranti, avranno luogo anche due incontri tenuti dal giornalista “gastronomade” del Venerdì di Repubblica Vittorio Castellani, con le sue imperdibili Officine Gastronomiche delle Spezie. La centralità di esse in cucina grazie alla capacità di esaltare il sapore dei cibi, è affiancata dall’importanza di arricchire le pietanze di vitamine e minerali. Se opportunamente utilizzate, possono essere di grande aiuto nella cura di piccoli disturbi; dalla famigerata “saggezza popolare” possiamo ottenere tisane, decotti, infusi o impacchi lenitivi dai più svariati usi terapeutici, da quello digestivo e antinfiammatorio di basilico e salvia (diffusissimi nella cucina mediterranea) ai chiodi di garofano, utilissimi per combattere mal di testa e mal di denti, tanto da essere utilizzati nell’industria farmaceutica come ingrediente di molti antisettici del cavo orale. Secondo una recente ricerca del King’s College di Londra, pubblicata dal British Journal of Dermatology, sarebbe custodito in una delle spezie più comunemente usata sulla nostra tavola, la piperina contenuta nel pepe nero, il segreto per sconfiggere le antiestetiche macchie bianche causate dalla vitiligine. Tradizione e corretta alimentazione, in una proposta in linea con i gusti dei consumatori che oggi sempre più numerosi si affacciano al mondo del “biologico”. Sulle bancarelle dei mercati tradizionali, nei sempre più numerosi negozi etnici e shops online, si nasconde un’ampia gamma di spezie in buona parte ancora sconosciute al grande pubblico, ma oggetto di sicuro interesse, anche in cucina. Per il loro carattere esotico e tradizionale allo stesso tempo, le spezie si ritagliano dunque uno spazio di prim’ordine dentro il panorama internazionale del gusto, grazie ad un pubblico che dopo l’epopea ancora in atto della globalizzazione e gli effetti estranianti dei consumi di massa verso le culture nazionali vuole, oggi sempre più, sentirsi protagonista autonomo in ambito alimentare e culturale.